Hockey, Helfer saluta la Nazionale: “Dalle Olimpiadi di Torino a quel gol promozione con l’Ungheria, che emozioni! Lo spirito di squadra è il nostro segreto”
È arrivato da ragazzino, se ne va da uomo navigato. In mezzo, vent’anni di azzurro vissuti a petto in fuori, in prima linea, a difesa di una porta e soprattutto di una maglia. Armin Helfer si ritira e con lui si chiude un’era dell’hockey italiano. Lo ha annunciato il 19 marzo e due giorni dopo la IIHF ha comunicato la cancellazione dei Mondiali in Svizzera a causa della pandemia di coronavirus. Certe volte anche il destino tesse trame bizzarre. Sarebbe stato in effetti strano ritrovare la Nazionale tricolore senza Helfer, lui che dal 2000 ha giocato ogni rassegna iridata cui l’Italia abbia partecipato ad eccezione del 2014, quando lo fermò un infortunio. La cifra tonda dei 20 Mondiali in carriera sarebbe servita solo alle statistiche. Nella storia azzurra, infatti, Helfer ci è già da un pezzo.
Armin, quando hai maturato la decisione di chiudere la tua carriera?
“Ci ho pensato già la scorsa estate: ho ragionato sul mio futuro e si è aperta la possibilità di fare full time l’allenatore delle giovanili qui a Brunico, così mi sono dato un’ultima stagione da giocatore“.
Ti saresti augurato anche un tu un finale più “normale”…
“Senza dubbio. Personalmente chiudere così da fastidio, è tutto molto triste. Però cancellare le competizioni era l’unica cosa giusta da fare e in questo momento dobbiamo solo pensare a stare a casa per poi stare meglio e ripartire“.
Già da quattro anni ti dedichi all’allenamento delle giovanili a Brunico. Cosa ti trasmette e quale è il valore aggiunto che pensi di poter dare?
“Mi piace molto lavorare con i giovani. Sento che nutrono rispetto nei miei confronti, mi vedono come un esempio positivo. Io cerco di trasmettere loro la passione per questo sport, provo a migliorarli facendoli divertire e non mi risparmio: negli ultimi anni è stato un lavoro difficile e impegnativo perché entravo sul ghiaccio al mattino e uscivo la sera. D’ora in poi sarà anche più facile dedicarmi a loro“.
Da giocatore come è cambiato l’hockey negli ultimi vent’anni?
“È cambiato moltissimo: si pattina molto di più e gli arbitri ti concedono molto di meno“.
E come è cambiata la Nazionale?
“Quando ho iniziato io in azzurro erano tempi diversi. Oggi ci sono più italiani e ciascuno è chiamato a maggiori responsabilità. Sarebbe divertente vedere come finirebbe una partita tra la Nazionale del 2000 e quella di oggi…“.
Un tuo pronostico?
“Probabilmente quella di oggi pattinerebbe di più durante la partita ma i giocatori si farebbero più male… (risata)”.
Come arrivava la Nazionale a questo Mondiale in Svizzera?
“La squadra era ed è coesa, sarebbe stata una battaglia come lo scorso anno. Nel 2019 abbiamo superato l’Austria e probabilmente avremmo dovuto fare lo stesso questa volta con il Kazakistan“.
Pur con le difficoltà del movimento, l’Italia dell’hockey resta sempre competitiva ad alti livelli. Come te lo spieghi?
“Ogni giocatore che viene in Nazionale dà tutto per la maglia azzurra. Non importa quanto guadagna, la squadra di provenienza o altro ancora: c’è un attaccamento incredibile e così si crea un gruppo solido“.
Come possiamo crescere?
“Lavorando su quegli aspetti in cui facciamo più fatica e che ci separano dalle Nazionali più forti. Si migliora impegnandosi e non perdendo mai lo spirito di squadra, questa è la cosa più importante per un gruppo come il nostro“.
Quale è il tuo ricordo più bello in azzurro?
“Il gol a inizio supplementare del 2011 contro l’Ungheria: ci regalò la promozione“.
E l’Olimpiade di Torino 2006?
“Quella è stata qualcosa di pazzesco, incredibile. Senti nell’aria un’atmosfera speciale fin da subito: durante la cerimonia di apertura ho visto piangere alcuni compagni e io avevo la pelle d’oca. Vedi la fiamma olimpica e torni bambino, ai sogni che avevi da piccolo. Emozioni impossibili da dimenticare“.
Come hai fatto a mantenerti sempre ad alti livelli e non perdere mai la Nazionale in questi ultimi 20 anni?
“Quando giochi con i migliori impari e devi essere bravo ad apprendere anche dalle sconfitte quando ti ritrovi contro i campioni. L’esperienza a un certo punto gioca una parte importante e, personalmente, andare all’estero dove avevo pressioni e aspettative maggiori mi ha fatto crescere in personalità“.
Cosa ti mancherà di più dell’hockey giocato?
“Lo spogliatoio: parlare, scherzare, ridere, raccontarsi di tutto e condividere qualsiasi cosa con i compagni, le vittorie come le sconfitte“.
Ti rivedremo in azzurro con un’altra veste prima o poi?
“Mi piacerebbe tanto“.
È un addio, ma profuma di arrivederci.